Laetimusici

Conobbi Maria Cristina Pasquali e Carlo Bava in occasione di un concerto che organizzai, in qualità di responsabile artistico del Centro culturale Elisarion di Minusio, nei primi anni del nuovo millennio. Insieme al musicista, etnomusicologo e ricercatore Ilario Garbani, Carlo Bava aveva formato da qualche anno il “Duo Verbanus” che aveva riscosso ampi consensi nei quattro angoli dell’Europa per la qualità artistica e filologica delle sue proposte. Per farla in  barba a coloro che continuano a sostenere che certe cose succedono solo nelle fiabe, anche la storia dei Laetimusici ebbe inizio nella bottega polverosa di un artigiano: Gerardo Guatieri. 

Affascinante e anche un po’ misterioso, Gerardo era il tipico personaggio al quale il “C’era una volta…” sarebbe stato d’uopo in una sorta di affinità elettiva che faceva di lui una specie di mastro Geppetto delle ance, capace di animare un ciocco di maggiociondolo o di pero, non per farne dei burattini ma per cavarne strumenti di sublime bellezza, benedetti da un’apparente semplicità dietro la quale uno sguardo attento e consapevole sapeva però riconoscere la liturgia di un “fare quotidiano”, di una maestria che profumava di trucioli freschi, che traeva inesauribile forza da pochi sapienti gesti, appresi, ripetuti, affinati e tramandati nell’arco di una vita.

Certo era già passato un po’ di tempo da quello strano e profetico giorno nel quale Gerardo dovette insistere non poco per regalare quella piccola, impolverata, insignificante ciaramella in sol che Carlo proprio non voleva e che si porto a casa, obtorto collo, soltanto perché Cristina gli impose di accettarla .

Carlo mi telefonò nel luglio del 2004 proponendomi di provare una volta ad abbinare l’organo e la ciaramella; come mi confessò in un secondo tempo, era convinto che io non accettassi, e invece si sbagliava: trovare l’idea molto stimolante e fissare un appuntamento nella Chiesa di San Bartolomeo ad Aurigeno (che divenne, anche grazie all’accogliente generosità del Consiglio parrocchiale, la nostra base operativa), per la sera successiva, fu tutt’una. Nel breve giro di tre settimane registrammo il primo disco (non senza imbarazzo ci facevamo sorprendere dai visitatori della chiesa mentre provavamo “Tu scendi dalle stelle” in pieno mese d’ agosto) e organizzammo il primo entusiasmante concerto. Era nato un sodalizio musicale e culturale che ci avrebbe portati molto lontano, ma soprattutto era nata una profonda e indissolubile amicizia che, alla soglia dei cinquant’anni, ci aveva fatto reciprocamente scoprire nell’altro un fratello che non sapevamo di avere.

Se non incombesse il rischio di diventare tediosi ci sarebbe ancora moltissimo da narrare: le mille avventure, la sensibilità, la creatività e la sapienza di Cristina nel legare assieme le nostre esecuzioni, conferendo al tutto ancora maggiore coerenza, il sostegno affettuoso di Daniela nei miei momenti di difficoltà, l’immenso privilegio di aver potuto avere come compagno di cammino il maestro Vincenzo Zitello (divenuto molto presto “il Vince”), eccellenza dell’arpa celtica di livello internazionale, mago delle atmosfere inimitabile nel trasformare la sua arpa in una bacchetta magica capace di aprirci al mondo della fantasia e dei colori, permettendoci di essere noi stessi, facendo musica, aiutandoci a riscoprire il piacere dell’ascolto reciproco, traghettandoci verso orizzonti di bellezza assoluta. E poi il maestro Bepi De Marzi, sempre a vegliare su di noi con la sua rassicurante autorevolezza, il disincantato sguardo sul mondo della musica e l’umiltà nel “leggere la propria storia”, conservando il coraggio di chiudere la porta quando ”dopo gli amori e dopo le canzoni [rimarrà] solo il vento a consolare il prato”; e ancora le collaborazioni straordinarie con giganti-amici come Nando Citarella, Lucilla Galeazzi, Claudio Rossi, Paolo Pasqualin, Oliviero Giovannoni, Fulvio Renzi, Alberto Nessi, Benito Mazzi e per finire, “dulcis in fundo”, il significativo ed inaspettato apprezzamento del Maestro Ennio Morricone che, di fronte all’incredulo stupore di Carlo, tuonò: “ ma perché? Morricone non può telefonare a chi vuole?”

Ne parleremo nella prossima puntata…